Colori e luce

Mostra

Mostra di pittura di Pierluigi Dalmaso e Nadia Cultrera

PIERLUIGI DALMASO, il gioco dell’arte e la necessità.
di Alessandro Togni
È bello vedere che, pur dentro i sistemi della contemporaneità, ogni tanto qualche "romantico" prende il coraggio di voltare le spalle alle comunicazioni televisive, alle cronache e ai pettegolezzi della quotidianità, per incamminarsi lungo percorsi più classici e vicini alle sensibilità quasi eroiche che hanno contraddistinto gli animi e lo stile di vita degli artisti di un tempo.
Non è da molto che Pierluigi Dalmaso ha voluto riaffermare il gusto della pittura, ha appassionatamente catapultato tutte le sue energie emozionali e le sue conoscenze visive dentro questa pratica che ancora riesce a suggerire possibilità "altre".
Pochi anni dove il coraggio di rendersi autore di numerosissime opere figurative ha facilitato la solennità di questo gesto tradizionale: quello del "fabbricare" un quadro come lo si faceva in antichità, di rendere passione e in particolare ricordo, sopra una tela grezza che viene tirata sopra e dentro un perimetro in listelli di legno naturale, tenuti insieme dalla pressione di quattro zeppe.
Eccolo il quadro, il classico quadro che viene a coprire il vuoto dell'immaginazione, che riceve, rendendosi simulacro, le immagini che appartengono alla nostra memoria, che ospita le visioni della nostra mente in continuo vagabondare e che le fissa per un tempo quasi infinito.
Pierluigi, attratto da questa potenza della pittura si è lasciato catturare, soggiogare dal fascino delle forme, dal brivido che ha fatto vacillare e innamorare la sua sensibilità.
Ecco le prime opere, tutte dedicate alle maestose memorie della montagna e dei suoi abitanti.
Tutto il mondo dell'alpe, della gente semplice e onesta che si muove dentro le pieghe della terra, viene presentato con il candore della benevolenza, sintetizzato in un accumulo di colore che lascia spazio alle rimembranze. Squarci di vita reale, gesti che si ripetono, icone classiche che lasciano riemergere il gusto naturale e saturo della vita. Il raccoglitore di mele irrompe nella scena avvolto dalle foglie dell'albero carico dei frutti prelibati; la contadina consegna qualche chicco di grano alle oche: queste, riconoscendola, la circondano festose e starnazzanti; nel tempo d'estate il fieno ormai seccato viene raccolto in un quadrato di iuta, legato e a schiena trasportato nei masi.
È una pittura tradizionale quella di Pierluigi, vicina alle modalità stilistiche della figurazione più vera, prossima alla narrazione realistica, carica di benefici effetti e di armoniosità.
Una volontà la sua di ripercorrere attraverso le immagini parte della vita che ha accompagnato i nostri padri, che abbiamo vissuto anche noi e che con struggente nostalgia sentiamo sfuggire dalle corde della percezione. Un gesto di affetto che intende restaurare, per conservare le icone che la nostra memoria non ha ancora dimenticato e che intendiamo tramandare. Un puro gesto di affetto, un attaccamento straordinario affinchè la mente non si lasci travolgere dalle onde della vacuità, dall'inondazione della superficialità.
Ma la sua non è solo una pittura pensierosa, crepuscolare e dedita al ricordo. È anche l'espressione di una energia positiva e solare che rende pienezza, che infonde calore e voglia di comunicare. Dentro le immagini si coglie la presenza di un entusiasmo che si espande contagioso. Ed ecco: il segreto della pittura di Pierluigi, appare principalmente nell'economia della produzione, nel modo di intendere la tecnica, nell'azione del dipingere, nella facoltà di sentire che quando si fa qualcosa è bene lo si faccia con intensità, con attenzione, con intelligenza … Infine, come in un "divertissement" sublime, "per gioco". Sì, per gioco, come fosse una necessità; per gioco come se la verità non appartenesse che a questa categoria dell'agire, in un ricordo leggiadro e splendido dell'infanzia e della fanciullezza.

Per gioco e con un po' di incoscienza a far sì che tutte le intenzioni della bellezza appaiano nella loro forma superiore … Per gioco come se l'unica necessità dell'arte fosse quella di trasformare le cose utili alla vita comune in cose che appartengono solo al mondo dell'avventura e dei sogni.
Pierluigi ha saputo mettersi in gioco dentro le dinamiche della fantasia, ha rincorso il vento della bellezza e, memore della lezione dei Macchiaioli Italiani del XIX secolo, ha abbracciato la pittura diventandone il suo amante.

NADIA CULTRERA, visioni ultraromantiche nella trasparenza della notte.
di Alessandro Togni
Non si sa come prese avvio, probabilmente fu per gemmazione spontanea, ma l’atmosfera prese ad addensarsi e manifestare tutte le più intime vibrazioni, navigando a ritroso verso le profondità dell’anima alla ricerca delle particelle emozionali di epoche passate dove si possono ancora ritrovare i desideri mentre stanno assumendo la loro forma concreta.
La memoria riportando in vita corpi raffinatissimi, raffigurati come membrane dell’inconscio, gioca a rincorrere il tempo nell’oscurità di nero e di rosa, trascurando i giorni della quotidianità per un approdo verso Terre fascinose dove regnano il sogno e l’immaginazione.
Elegantemente compresa in una rappresentazione magica la figura femminile di Nadia Cultrera sembra non riconoscere alcuna inquietudine e pare vivere dentro una musica universale, mentre la coscienza della sua stessa destinazione interiore, trova margini per un respiro armonioso, del tutto naturale.
Le visioni, fra nudi parzialmente svelati e volti assorti, aristocraticamente nascosti da maschere profumate di Settecento veneziano, diventano materia di interpretazione psicologica muovendo e dipanando banchi di oscurità mentre bagliori immobili varcano le pieghe addensate della notte, il luogo dell’indistinto e della pulsazione ultraromantica.
L’immagine intesa nella sua inclinazione realistica viene attrezzata e collocata dentro spazi evocativi dove proprio la notte diviene “isola di niente”, dove accade solamente ciò che come fantasma nostalgico attraversa la mente.
La figurazione nella sua forma iperreale trova completezza nel dialogo fra le parti mentre ombre e penombre danzano modificando l’intensità di questo luogo sconosciuto ed imperscrutabile.
Non troviamo paesaggi reali, anzi, ad una verifica le uniche materialità visibili rimangono i corpi di questi caduti angeli dell’oscurità, figure trasognate vaganti come spiriti in osservazione delle luci remote solo parzialmente in arrivo sopra di loro.
Una pittura “progressive”, pensata e voluta essenzialmente per liberare il corpo attraverso la mente, una disposizione alla ricerca dell’interiore promossa in ambito “antico”, come se la naturalezza disponesse di una sua specifica vocazione in ordine ad una nobiltà non ostentata, anzi celata, ma inequivocabilmente presente come dote quasi spirituale.
Mentre la pittura si dipana dentro un magma indistinto fatto di macchie umide al limite dell’espressionismo astratto e dove si verificano distorsioni con “dripping” sensazionali, ecco le mappature laviche di provenienza selvaggia, con le figure nella loro disposizione al sublime, presenze di un teatro immaginario attraversato dal più autentico spirito “Sturm und Drang” colmo di enfasi drammaturgica.
Così nella vertiginosa torsione di “Danza tricolore” si scoprono le intenzioni classiche di una scultura dalla romanità assai pronunciata; mentre in “Malinconia celata” osserviamo l’assenza di uno sguardo luminoso e in posizione reclinata; troviamo invece qualità estetizzante e decorativismo sostenuto nella leziosità di una maschera in pizzo nero per “Dama misteriosa”; ed ancora “Nudo” dove lo spirito di Narciso invoca una ulteriore esistenza; ed infine “Riflessi di Luce” fatto di bagliori lontani che in controluce svelano lei, il suo volto e il suo corpo nella più totale felicità femmina


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