"Gli ori nel cassetto. Preziosi femminili dimenticati. Dal XIX secolo alla prima guerra mondiale"

La mostra a Olle di Borgo Valsugana presso Casa Andriollo: i gioielli segnavano le tappe della vita e avevano valenza magica contro la cattiva sorte e le malattie 

[ Gli ori nel cassetto. Rosanna Cavallini]

La nuova esposizione aperta fino al 31 ottobre a Olle di Borgo Valsugana presso Casa Andriollo e organizzata da Soggetto MontagnaDonna, intende presentare in tre sezioni tematiche antichi gioielli di cui si è persa memoria. Nella prima sezione sono esposti preziosi e semipreziosi che appartengo alla nostra storia locale e ai nostri affetti, la seconda è dedicata agli ornamenti dei costumi tradizionali, mentre la terza vede esposti i preziosi nati sotto i dettami delle mode, eseguiti con magistrali abilità artigianali oggi perdute, fonte di ammirazione dei viaggiatori che nel XIX secolo ne hanno fatto dono e ricordo.

Soggetto MontagnaDonna intende proseguire con questa nuova esposizione il lavoro divulgativo iniziato da alcuni anni per la promozione del mondo femminile.

L’uso del gioiello esprime un linguaggio nascosto di credenze legate ai metalli, ai colori, al numero delle pietre, al posto preciso dove il gioiello è posto in una specie di geografia del corpo. I gioielli segnavano le tappe della vita e avevano valenza magica contro la cattiva sorte e le malattie. Fin dall’antichità è documentato il valore protettivo degli oggetti brillanti particolarmente sulle parti del corpo minacciate: la testa luogo del pensiero, il cuore e l’addome luoghi della vita e della fertilità e naturalmente gli orifizi delicati come la bocca e le orecchie.

Parte degli ornamenti in mostra rappresentano la diffusa capacità di utilizzo popolare di materiali “poveri”, o di imitazione, per la creazione di veri e propri gioielli che, nel contesto dell’ostensione del corpo femminile e dalla trasmissione di valori e affetti tra le generazioni, acquistano il valore di autentici tesori.

Questo utilizzo risulta ampiamente documentato anche in ambito trentino tirolese sia nella dimensione folclorica (gli ori dei costumi tradizionali), sia all’interno del ceto rurale che a partire dalla fine dell’Ottocento si concede il lusso di qualche piccola ambizione borghese come ben si coglie nei ritratti fotografici.

Con la richiesta sempre maggiore del prodotto semiprezioso da parte della clientela femminile del piccolo ceto rurale si proposero manufatti di veloce esecuzione seriale che già dalla seconda metà del XIX secolo si importarono dalla Germania, all’epoca avanguardia tecnologica della produzione di gioielleria adatta alle esigenze popolari. Preziosi veri ma di bassa lega o caratura, come la filigrana in argento, il corallo di taglio povero, i granati, l’oro in lamina lavorato a stampo o a “canna vuota”, si evidenziano nei ritratti fotografici femminili come apprezzato ornamento dei castigati abiti dell’epoca.

Le gioie seppur modeste erano il vanto femminile, segnate negli elenchi dotali sia come eredità che come doni dello sposo alla sposa. Una valida testimonianza si può ottenere dall’osservazione delle tavole votive di area trentino tirolese dove le donne sono rappresentate ornate dalle proprie gioie.

L’uso del corallo e del granato vi sono ampiamente documentati, materiali graditi presso tutte le classi sociali. La diffusione del corallo in ambito trentino si mantiene a lungo come documentano i foto ritratti; si notano al collo e alle orecchie delle donne rappresentate le collane e gli orecchini di corallo il cui colore rosso, simbolo della vitalità del sangue, era legato intimamente alla fertilità femminile. Sono ornamenti di semplice fattura, collane a grani sferici o a barilotto intervallati da grani più piccoli. Non mancano collane più economiche formate dai cosiddetti “spezzati di corallo”, avanzo di altre lavorazioni. Gli orecchini sono di fattura migliore, ai pendenti asportabili si concedeva anche il lusso della sfaccettatura.

In Trentino il termine dialettale “corai” (coralli) acquista il significato generico di ornamento anche di altro materiale. Non mancano canzoncine del corteggiamento amoroso in forma di burla alle ragazze da marito, come recita questa “maitinada” udita a Pinzolo e trascritta da Nepomuceno Bolognini nel 1882:

 Maridéme fradèl che go la dota/ ‘na gola de corài e ‘na camisòta/ La camisòta i me l’ha ‘mprestada /La gola de corài l’è de me cognada

Il granato è la pietra semipreziosa e molto popolare, semanticamente legata al melograno (pomo granato) e alle sue complesse simbologie. Ornamento presente in quasi tutta la nostra regione, la collana di granati era tradizionalmente indossata dalle donne maritate. Infatti nei ritratti di gruppi familiari spesso la matrona ostenta una lunga collana a molti fili dalla quale pende una crocetta in oro legata con un fiocco. Particolarmente affezionate ai loro granati sono le donne del Tesino che indossano la tradizionale collana sopra la camicia bianca ricamata del costume. I granati di oreficeria erano in maggioranza di provenienza boema “rubini di Boemia” ma si possono trovare anche nelle nostre zone in presenza di formazioni granitiche. Ad esempio nei dintorni di Passo Rombo in cima alla Val Passiria o intorno alla Cima D’Asta sopra il Tesino.

Proseguendo la visita la seconda sezione dell’esposizione è dedicata agli ornamenti tradizionali, in particolar modo gli ornamenti da testa: spilloni da acconciatura, da cuffia e da cappello. Entriamo così nel mondo della filigrana. Tecnica antichissima che consiste nella torsione e ritorsione di un filo minutissimo all’interno di stampi o scafi preconfezionati. Partendo da una quantità molto piccola di materiale duttile, solitamente argento, si otteneva una notevole estensione di superficie preziosa. In ambito popolare la filigrana con la sua inconfondibile leggerezza ed eleganza è parte integrante dei costumi tradizionali di molte regioni europee. Per un interessante paragone, dal quale emergono evidenti somiglianze, si sono accostati spilloni da acconciatura di foggia europea a spilloni da acconciatura di produzione cinese e giapponese.

Il filo ottenuto dall’argento poteva essere molto sottile, lavorato come un tessuto o un cordoncino. Vi si potevano infilare perline di paste vitree colorate, rivestire sagome ritagliate a piacimento che una volta unite componevano forme ornamentali. Esempi di particolare preziosità sono le tradizionali coroncine da cerimonia.

La terza e ultima sezione comprende gioielli e curiosità dell’Ottocento di ambito borghese.

Di particolare efficacia sentimentale sono i gioielli eseguiti con i capelli, simbolico dono di sè e memoria funebre affettiva. Non di meno va sottolineato l’uso di materiali perlomeno strani tra cui gli autentici scarabei inseriti negli ornamenti, moda nata sull’onda dell’entusiasmo per i molteplici e continui ritrovamenti archeologici dell’antico Egitto. Entusiasmo che suscitavano pure le “salutari arie” alpine. I viaggiatori che si recavano sulle Alpi furono estimatori della ricercatezza dei costumi tradizionali locali, come testimonia la numerosissima produzione calcografica. La mitizzazione del concetto di salute e purezza che la montagna e le sue genti ispiravano condusse anche alla creazione di piacevoli ornamenti femminili con la rappresentazione dei costumi montanari riprodotti su spille, bracciali e orecchini, indossati con la vitale allegria che la montagna ispirava. Due mondi si incontravano influenzandosi a vicenda. Le donne di città non disdegnarono di abbigliarsi alla montanara e le donne di montagna appresero i dettami della moda cittadina.

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Rosanna Cavallini - curatrice mostra

16/06/2015

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