Marcello Fogolino a Trento. Il senso di una mostra

Un artista capace di attraversare decenni di mutamento portando con sé il bagaglio di un’altissima formazione

L’erudito umanista che si fosse avviato per il borgo di Pusterla, nella Vicenza di primo Cinquecento, si sarebbe certamente diretto alla chiesa di San Bortolo, vero sancta sanctorum dell’arte cittadina, nel cui interno erano sistemate le opere recenti, e discorsivamente nuove, di Bartolomeo Montagna e Cima da Conegliano, Giovanni Speranza e Giovanni Bonconsiglio, Francesco Verla e Marcello Fogolino.

L’Epifania di quest’ultimo, posta a ornare la terza cappella di sinistra, avrebbe certamente sorpreso il fedele, raccogliendosi nello spazio della tavola una miriade di suggestioni tali da non essersi ancora viste in ambito veneto. Un’ancona esito visivo della vivacità culturale cittadina: accanto ad accademie, circoli, università, attività tipografiche, musicali e teatrali erano gli anni di una renovatio urbis che consentì ai maggiori ordini religiosi, e ad una parte almeno del patriziato, di gareggiare in opere di mecenatismo a maggior gloria della propria potenza temporale o del proprio rango sociale.

Una cultura complessa, polivalente, dominata dalla figura di Montagna: un giovane nato intorno alla metà degli anni Ottanta del Quattrocento in area vicentina che, intorno ai dieci, dodici anni avesse manifestato l’intenzione di dedicarsi all’arte della pittura non poteva che rivolgersi a lui. Un riferimento ineludibile anche per il figlio di un artista quale Francesco fu Matteo “dictus Furlanus de Foroiulii”, quel Marcello Fogolino cui questo catalogo e mostra sono consacrati, a oltre cinquant’anni dalla breve sinossi di Lionello Puppi per la “Collana Artisti Trentini e che operarono nel Trentino” e a più di un secolo dal fondante e pionieristico studio di Tancred Borenius, quel The Painters of Vicenza edito a Londra nel 1909, capace come pochi altri di cogliere l’esatto ruolo dell’arte fogoliniana integrando compiutamente i percorsi ricostruiti sulla storiografia antica con un’analisi diretta dei testi figurativi.

Il lavoro qui presentato vuole offrire al lettore un attendibile e articolato status quaestionis attorno a un artista capace di attraversare decenni di mutamento portando con sé il bagaglio di un’altissima formazione che fu capace di dilatare e arricchire, ampliando il proprio orizzonte culturale prima in Friuli e poi in Trentino, dove poté affermarsi quale araldo della maniera moderna, contribuendo largamente al rinnovamento in chiave rinascimentale del panorama pittorico locale.

Quando Fogolino lasciò le contrade venete per giungere con il fratello Matteo a Trento, nel capoluogo di un Principato vescovile così partecipe anche alle scelte degli Asburgo, forse non ebbe modo di cogliere immediatamente il cambiamento che stava per compiersi tanto per la propria esistenza, quanto rispetto le diverse e articolate opportunità che avrebbe avuto. Seppur i documenti testimonino di anni ancora attraversati da scarsità di mezzi, il contesto culturale, politico e sociale richiedeva un adeguarsi ai possibili interlocutori e potenziali committenti molto tempestivo.

L’occasione propizia fu il cantiere di Bernardo Cles, il Magno Palazzo, nel quale riuscì a entrare a fianco di numerosi altri artisti per poi, a differenza di loro, radicarsi significativamente, obbedendo ai voleri di quel principe vescovo attento a imprimere un’accelerazione di matrice umanistica con il deciso abbandono del linguaggio tardogotico che tanto e tanto a lungo aveva attecchito nel territorio. Di lì il Rinascimento trentino, in grado di assorbire senza preclusioni fermenti transalpini, lombardi e veneti, in maniera più o meno rilevante in relazione all’insediarsi di intraprendenti personaggi in cerca di fortuna o nobili tirolesi in cerca di feudi o ancora di letterati in cerca di generosi riconoscimenti delle loro fatiche, ma comunque esemplato da un ‘gusto per le cose’ che abbandonò l’estemporaneità per diventare programma da perseguire con determinazione. Così Bernardo Cles si rese interprete dei valori basilari dell’uomo rinascimentale attraverso la stessa impresa architettonica e decorativa che volle affrontare, riuscendo a far prodigiosamente realizzare un equilibrio armonico tra linguaggi tanto diversi resi vicini da un comune sentire. Volendo per la sua dimora, intrisa di argomenti profani mescolati ai radi di ascendenza sacra – ne è buon testimone Pietro Andrea Mattioli – il prezioso cofanetto di pastiglia con quattro splendide sfingi agli angoli del coperchio e scene all’antica: dal duello tra Orazi e Curiazi, all’incitamento dei romani da parte di Bruto, agli esempi di Lucrezia e di Giuditta. Poco importa si trattasse di un prodotto di lusso, apprezzato da tutte le corti italiane, ma in fin dei conti di produzione seriale, per noi è indizio di una scelta di campo precisa. Quella stessa rispecchiata nei secchielli bronzei dei Grandi, artisti vicentini come Francesco Verla, altro conterraneo che trova lavoro nel territorio trentino appena prima degli anni fogoliniani.

Per i signori e gli ecclesiastici più colti del tempo era d’obbligo essere aggiornati sulle novità d’arte, contornarsi di letterati ed eruditi, utilizzabili alla bisogna quali precettori, consiglieri, diplomatici in incognito. In un aggiornamento che richiedeva contatti, visite, informazioni, e imponeva poi commissioni e lavori per dimostrare nei fatti il proprio tenore di vita materiale e culturale. E anche il successore di Bernardo Cles, quel Cristoforo Madruzzo che ebbe in sorte l’onere di aprire i lavori del Concilio di Trento, di buon grado accettò i servigi dell’ormaimaturo Fogolino, trovatosi ad affrescare le pareti di una nuova dimora vescovile, questa volta una villa suburbana: il Palazzo delle Albere protagonista dei festeggiamenti tributati a Filippo re di Spagna nel giugno 1551, con combattimenti ispirati a Ludovico Ariosto, ma non ebbe la fortuna di conservarsi come il Magno Palazzo.

Tempi stimolanti e altamente drammatici, quelli attraversati dalla vicenda esistenziale di Marcello Fogolino, in un’epoca avviatasi nelle contrade da lui frequentate con la guerra veneto-tirolese, proseguita con il radicarsi della Riforma, culminata con il Sacco di Roma, e formalizzata definitivamente e irrevocabilmente con le assemblee del Concilio di Trento. Se a Vicenza e Trento la fama di Fogolino sarà tenuta in vita da una catena di citazioni, elogi, descrizioni e aneddoti, a livello della più ampia storia dell’arte il ruolo del pittore s’è nel tempo diradato, inducendo a proporre oggi una riflessione aggiornata sul maggiore protagonista della decorazione a fresco del Magno Palazzo, misurando lo sforzo assimilatore e interpretativo dell’arte fogoliniana anche in campi meno esplorati, cercando di comprendere e valorizzare il significato delle sue immagini più singolari, dove dimostra una spiccata versatilità fino a ora non ancora valutata nella sua reale portata.

In quest’ottica il museo del Castello del Buonconsiglio già nel 2015, con il volume Castelli trentini. Decori e fantasie nei cantieri rinascimentali, ha dato nuovo impulso alla ripresa degli studi fogoliniani e, in particolare, a quella parte di attività che il pittore vicentino ha dedicato, coadiuvato da una organizzata bottega, alle decorazioni parietali di numerosi manieri del territorio. Negli antichi edifici, trasformati nel corso della prima metà del XVI secolo in prestigiose residenze rinascimentali, si è rivelato infatti un aspetto meno conosciuto, dove l’artista ha potuto sviluppare con libertà creativa ed estrosa fantasia l’arte della grottesca, adottata fin dagli esordi della sua attività, assieme a complesse tematiche moraleggianti e allegoriche con rimandi alle volte enigmatici.

Per risarcire la figura di Marcello Fogolino della relativa disattenzione critica del periodo più recente, come evidenziato con puntualità da Giovanni Carlo Federico Villa, si è scelto di strutturare l’iniziativa a lui dedicata attraverso l’impaginazione di un itinerario espositivo, e la relativa monografia che lo correda, ricomponendo il tessuto connettivo della sua esperienza artistica in senso diacronico, geografico ed esperienziale evidenziandone di volta in volta gli stimolanti contesti che lo videro partecipe. Mauro Lucco cesellandone il percorso entro gli anni Venti del Cinquecento; Marco Tanzi ricalibrandone il profilo storico-critico sull’asse delle committenze friulane; Luca Siracusano, Francesca de Gramatica, Marina Botteri e Giovanni Dellantonio affrontando gli anni trentini; Silvia Blasio l’episodio ascolano e Alessandro Quinzi la chiusura goriziana. La monografia si è arricchita inoltre di una significativa serie di approfondimenti tematici, atti a indagare questioni aperte e nodi critici – l’intervento di Anchise Tempestini – o il rapporto tra Fogolino e l’antico, nell’acribia dello scritto di Michelangelo Lupo; la scultura, un tema sondato da Luciana Giacomelli, o la sua attività di restauratore, esemplari i casi di intervento sulla Madonna delle Stelle in Santa Corona a Vicenza e l’aggiornamento di Torre Aquila, affrontati da Lia Camerlengo. O ancora, per la prima volta, le sue competenze iconografiche, vagliate da Laura Dal Prà, e la rara ed eccezionale produzione incisoria, in uno studio magistralmente condotto da Chiara Callegari.

Troppo incerta invece la questione grafica per costituire massa critica da affrontare con attribuzioni di importanza accertabile e serenamente accertate. A un quadro generale, fondato sulla sequenza delle schede scientifiche che ricompone il complessivo catalogo del nostro Maestro e ne verifica la scansione cronologica, allo scopo di offrire un’immagine dell’artista aggiornata e tale da consentirgli di entrare definitivamente nei moderni repertori, si è affiancata un’esaustiva appendice documentaria che, per la prima volta, grazie all’attento vaglio delle carte d’archivio, con ritrovamenti inediti, da parte di Alessandro Paris e Luca Siracusano, ha ‘fissato’ con date e circostanze la movimentata vita di Marcello Fogolino e di suo fratello Matteo, ivi compresa la ricostruzione attendibile dell’accusa di omicidio e l’attività spionistica svolta per la Serenissima Repubblica.

Un complesso di studi significativi per delineare il contesto operativo dell’artista, complice anche il recupero di ottimale leggibilità di testi fogoliniani fondamentali: sia negli anni recenti, come nel caso delle più belle sale del Castello del Buonconsiglio da parte della Soprintendenza e di tutte le opere sotto l’egida dei Musei Civici di Vicenza, sia per l’occasione presente. Testi divenuti un terreno fertile di confronto sulla cronologia delle opere, su possibili viaggi e opere viste, su possibili conoscenze. Principiando dalla giovinezza pittorica consumata su testi montagneschi e veronesi, sostanziata in un’accorta definizione di modelli quattrocenteschi, cui farà seguito una fase sperimentale e di apertura verso forme di maggior respiro, nell’interesse e nel tentativo di adeguamento alle novità pordenoniane ben espresso dalle opere friulane. Con maestria talvolta sorprendente Fogolino si dimostra capace di complesse suggestioni luministiche, valendosi del gioco di luci che fa provenire dal retro delle composizioni o dai lati, per dare profondità allo spazio e definire la forma, mantenendo moderato il tonalismo.

L’attività giovanile vicentina evidenziando, accanto alla notevole sapienza artigianale, una sagacia inventiva che, pur andando smarrendosi e cristallizzandosi nel corso degli anni – come testimoniato dalla costante riproposizione di tematiche e motivi iconografici – induce a considerare Fogolino un artista di eccellente levatura, seppur non sempre ai vertici qualitativi, dotato di una vena dall’elevata cifra stilistica. Rispetto ai seguaci di Bartolomeo Montagna, egli emerge per sensibilità attenta e curiosa, abile ad assimilare altri richiami stilistici, onde la sua opera ne risulta arricchita, ma allo stesso tempo complicata da esperienze simultaneamente operanti ed efficaci, che non sempre riesce a vivificare e sintetizzare, tendendo ad estrapolare semplici dettagli dalle nuove espressioni artistiche degli anni venti, come gli accessori ornamentali o la rappresentazione di figure e paesaggi, senza coglierne unità compositiva e tematica in un difficoltoso, e a volte inconciliabile, dialogo con i prestigiosi colleghi che lo affiancano in Friuli e a Trento. Il cammino del pittore risulterà quindi caratterizzato da una costante applicazione all’analisi minuta, a un frazionamento, una  suddivisione delle composizioni che lo indurrà sempre ad appuntare le figure in gruppi con rigida simmetria.

La sua coscienza cogliendosi così nel gusto del dettaglio e dell’episodico, nel quale indugia con compiacenza e rivela una felice vena narrativa: lascito quattrocentesco che permarrà nel corso degli anni come cifra distintiva. Anche per questo Fogolino è stato relegato in una sorta di limbo, nell’indecisione tra considerarlo un pittore attardato, artigianalmente preso dal proprio fare, oppure l’artista capace di acute sintesi e stimoli, tanto da contribuire a far germogliare il Rinascimento nell’arte trentina. Non a caso saranno gli anni trentini a far maturare una sintesi, pur con altalenanti esiti realizzativi, delle impressioni suscitate dai colleghi vicentini, da Pordenone, Dosso Dossi e Romanino. È la creazione di una stagione a scioglimento di dialoghi trasversali, suggestivo ponte tra culture figurative diverse giunta a compimento nella tarda attività in Castel Cles, negli affreschi ascolani e nelle tavole goriziane ove, accanto a geniali ed audaci spunti compositivi, saranno finezza ottica e luministica a rivelarsi elementi costruttivi fondamentali in un percorso artistico certo significativo.

L’ultima memoria riguardante il nostro autore risale al 21 luglio 1558: una lettera spedita a Trento dalla Reggenza di Innsbruck in cui si chiedono notizie di Fogolino a Nicolò Trautmannsdorf, ipotizzando di avvalersi della sua valentia per la decorazione della residenza imperiale in quella città, da eseguirsi per volere dell’imperatore Ferdinando. Quale la risposta, non sappiamo: la missiva ultima testimonianza, forse, della presenza umana di Marcello Fogolino, a parte la suggestione di una sua presenza a Londra a metà degli anni Cinquanta (Thomas F. Mayer, Marcello who?: an italian painter in Cardinal Pole’s entourage, in “Source. Notes in the history of art”, 15, 1996, pp. 22-26).

Una mostra e un catalogo felice e significativo esito della collaborazione tra due istituzioni museali e le loro direzioni: il museo di Trento e i Musei Civici di Vicenza insieme a tutti gli studiosi che hanno partecipato all’iniziativa.

(Il saggio è tratto dal catalogo della mostra)

Giovanni Carlo Federico Villa, Laura Dal Prà, Marina Botteri - curatori della mostra

21/07/2017

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