La principessa e l'aquila
Avvicinamenti 2017
Otto Bell
Stati Uniti, Regno Unito, Mongolia / 2016 / 87 min
La tradizione dei cacciatori con le aquile, presso le popolazioni nomadi della Mongolia, ha duemila anni di storia. Il metodo per questo tipo di caccia, a volpi, lupi e altri animali, si tramanda di padre in figlio, laddove la persona mostra una propensione spiccata per la collaborazione con l'aquila. Quando cioè, per dirla come loro, "ce l'ha nel sangue". Aishoplan è una ragazzina di tredici anni che, diversamente dalle amiche, non ha mai avuto paura di un'aquila né di arrampicarsi in altissima montagna per catturare il suo personale aquilotto all'indomani dello svezzamento e crescerlo e addestrarlo secondo gli insegnamenti del padre. Incredibilmente dotata e determinata, con il supporto della famiglia, Aishoplan ha scelto di diventare la prima cacciatrice con le aquile di sesso femminile, nonostante il parere contrario di molti anziani della sua comunità.
La scena del film in cui i supposti saggi si confermano tra loro le ragioni per cui permettere alla tredicenne di tentare la strada che vuole intraprendere creerebbe soltanto un errato precedente, è genuina ed eloquente: c'è chi chiama in causa la debolezza costituzionale delle donne rispetto agli uomini, chi si preoccupa candidamente che possano prendere freddo, chi afferma senza traccia di scrupolo che è importante che stiano a casa per scaldare l'acqua del tè, chi chiude l'argomento dicendo che ci penserà il matrimonio, ad un certo punto, a porre fine alla questione.
Aishoplan - e il film con lei - risponde silenziosamente mostrando la sua abilità, di gran lunga superiore a quella di molti cacciatori maschi, più vecchi ed esperti di lei.
Mentre tratta tangenzialmente del modo di vita della sua famiglia seminomade, della distanza geografica e globale che la separa dalla popolazione anche solo della città più vicina, mentre racconta come cresce una ragazzina della sua età, lontano da casa per cinque giorni su sette fin dalle prime classi di scuola, il film di Otto Bell, regista newyorkese di origini britanniche, si concentra per la maggior parte del tempo sul training di Aishoplan con la sua aquila, in compagnia del padre, su e giù da cavallo e dalle pareti rocciose dei monti Altai, nell'estremo nord occidentale del paese meno popolato della Terra. Una condizione di isolamento nell'isolamento, dunque, vissuta dalla protagonista con estrema naturalezza, e con l'impressionante consapevolezza che la sua passione non toglie nulla alla sua femminilità, catturata dall'obiettivo di Bell alla vigilia dello sbocciare, ma ancora legata all'infanzia e alla sua trasparenza emotiva.
Costruito attorno ad un evento reale, qual è il Golden Eagle Festival che si tiene in quella regione, il documentario di Bell, che segna il suo esordio nel lungometraggio, non è improntato alla rincorsa del momento topico in tempo reale, anche se è abbastanza fortunato da coglierne un paio di grande portata, vale a dire la cattura dell'aquilotto e la competizione, ma sembra piuttosto il frutto di un lavoro di osservazione, di immersione e di costruzione. La linearità del racconto è una scelta che alla fine paga, perché la semplicità della narrazione viene compensata dalla potenza delle scene "d'azione" e dalla bellezza del contesto naturale. Un passo in più e sarebbe sembrato artefatto, uno in meno e il risultato sarebbe stato povero.
organizzazione: Centro servizi culturali S. Chiara