Un'eterna bellezza
Da Madrid approda al Mart "il canone classico nell'arte italiana del primo Novecento": oltre 100 opere in mostra
Curata da Beatrice Avanzi e Daniela Ferrari, fino al 5 novembre è visitabile al Mart la mostra che ha incantato Madrid. Un’eterna bellezza, prodotta dal Mart e dalla Fondazione MAPFRE, mette in scena capolavori assoluti dell’arte italiana e rinnova il posizionamento internazionale del museo di Rovereto.
In mostra oltre cento opere di alcuni tra i più significativi protagonisti dell’arte italiana: Carrà, Casorati, de Chirico, de Pisis, Savinio, Severini, Sironi ma anche Bucci, Cagnaccio di San Pietro, Donghi, Dudreville, Funi, Malerba, Martini, Marussig, Oppi e Wildt.
Compiamo un giro nel percorso espositivo, articolato in sette sezioni tematiche: Metafisica del tempo e dello spazio; Evocazioni dell’antico; Paesaggi; La poesia degli oggetti; Ritorno alla figura. Il ritratto; Il nudo come modello; Le stagioni della vita.
Metafisica del tempo e dello spazio
La Metafisica si afferma a Ferrara negli anni della Prima guerra mondiale, in cui si incontrano i soldati Giorgio e Andrea de Chirico (noto come Alberto Savinio), Carlo Carrà e il giovane Filippo Tibertelli (che assumerà il cognome de Pisis).
Ma è nel periodo trascorso a Monaco (1909-1911) e nel breve soggiorno torinese (1911) che va rintracciata la nascita della pittura metafisica di Giorgio de Chirico, con la sua poetica di rarefazione formale, di visionaria percezione della realtà, di straniante relazione tra i luoghi e le cose. Nelle sue opere, immagini classiche – gessi o busti di statue antiche – convivono con oggetti della vita moderna e i paesaggi urbani sono sospesi in una dimensione priva di una collocazione spaziale e temporale certa, dominati da molteplici costruzioni prospettiche e popolati da manichini senza volto e identità.
Alle soglie degli anni Venti, i protagonisti della breve stagione metafisica volgono le proprie ricerche verso altre direzioni, nel clima diffuso di una classicità ritrovata che per i pittori italiani significa innanzitutto il recupero dell’arcaismo e della pittura giottesca e rinascimentale.
Evocazioni dell’antico
L’antico rappresenta una mitica età dell’oro verso la quale gli artisti indirizzano la loro nostalgia di un mondo ideale, alla ricerca di valori eterni che attraversano i secoli e rivivono in una forma nuova: un “classicismo moderno” fondato su purezza di forme e armonia della composizione.
Riferimento imprescindibile per comprendere il ritorno all’antico nell’arte italiana è l’esperienza di Novecento, movimento nato a Milano nel 1922 dal sodalizio di sette artisti (Bucci, Dudreville, Funi, Malerba, Marussig, Oppi e Sironi) che esordiscono l’anno seguente alla Galleria Pesaro di Milano, presentati da Margherita Sarfatti. La Biennale di Venezia del 1924 li vede esporre insieme, con l’eccezione di Oppi che preferisce ottenere una sala personale, mentre nelle mostre successive al Palazzo della Permanente il gruppo si allargherà fino a comprendere un centinaio di artisti.
Nei ritratti e nelle figure allegoriche dipinte da Borra, Funi, Severini e Sironi, l’antico è evocato dall’ambientazione: un frammento archeologico, una statua o un vaso che tuttavia non sono semplici citazioni. La misura classica, infatti, è all’origine anche dello stile essenziale e solenne della rappresentazione, basato su un disegno accuratamente definito e su forme e volumi sintetici e maestosi.
Paesaggi
Nonostante abbia un’importanza minore rispetto alla centralità della figura umana, la pittura di paesaggio diviene una parte fondamentale della produzione di artisti quali Carrà, Morandi e Sironi, che nella loro personale declinazione di vedute urbane e luoghi della natura affermano una piena riconquista dei valori pittorici fondati sulla tradizione.
Nei paesaggi è ancora più evidente il processo di spoliazione a cui viene sottoposta l’immagine del reale. Le architetture della periferia milanese “disegnate con il filo a piombo” da Sironi sono l’esempio più fulgido di questa capacità di rinnovare un genere pittorico, spogliandolo non solo di tutte le scomposizioni e frammentazioni avanguardiste ma anche dei residui del pittoricismo ottocentesco, approdando a una solida sintesi costruttiva. Memori dei volumi semplici ed essenziali e delle prospettive rigorose degli antichi maestri sono le vedute di Milano e di Roma dipinte da Usellini e Donghi; mentre Carrà opera una “trasformazione del paesaggio in poema pieno di spazio e di sogno”, come afferma lui stesso.
La poesia degli oggetti
Nell’arte tra le due guerre, il genere della natura morta diviene luogo privilegiato per esercitare una ricerca di armonia, ordine ed equilibrio. La composizione di oggetti, fiori o frutta risponde anche a una rinnovata ricerca della bellezza che porta gli artisti a selezionare e sublimare il reale, come nell’arte classica, studiando attentamente proporzioni formali e accordi cromatici.
A questo tema si dedicano con un’assiduità quasi esclusiva soprattutto de Pisis e Morandi, il primo dipingendo oggetti che paiono personaggi di una narrazione, il secondo trasformandoli, al contrario, in elementi quasi astratti. Nelle tele di Dudreville, Oppi, Donghi e Cagnaccio di San Pietro le cose sembrano osservate attraverso le lenti di un realismo talvolta esasperato, che per nettezza, luminosità, trasparenza e precisione nei dettagli ricorda la grande tradizione della natura morta fiamminga. Solenni e silenziose sono le atmosfere evocate dalle tavole apparecchiate da Severini, esercizi di stile che anticipano le sue riflessioni teoriche contenute nel libro Du Cubisme au Classicisme (1921). Gli oggetti rappresentati in tutti questi quadri sembrano essere stati sottratti al potere del tempo, anche quando si riconoscono dei particolari che li collegano alla vita di chi li ha posseduti, come un romanzo di Israel Zangwill pubblicato nel 1920 dall’editore Sonzogno, in primo piano in una delle nature morte di Nella Marchesini.
Ritorno alla figura. Il ritratto
“Il ritratto deve raffigurare un uomo, non l’attimo di un uomo” afferma Ugo Ojetti, cogliendo un aspetto fondamentale della ritrattistica di Novecento: la rappresentazione delle figure non nell’immediatezza di un istante bensì immerse in un’assorta fissità. Molte di esse hanno un atteggiamento meditativo e malinconico, un distacco dalle cose del mondo che le circondano. Il processo di semplificazione e la tornitura purista delle forme contribuiscono a sottolineare questo allontanamento dalla contingenza e dalla confusione della vita.
In alcuni dipinti di Cagnaccio, Casorati, Donghi e Oppi lo “specifico tono di solitudine” delle figure, come lo definisce lo scrittore Giacomo Debenedetti, è trasposto in una dimensione incantata e sospesa. Il Realismo magico, definizione basata su un affascinante ossimoro che de Chirico aveva già usato nel 1919 per “designare la forma moderna di un realismo capace di rendere conto del senso della malinconia dei segni”, indica una pittura minuziosamente oggettiva e allo stesso tempo straniante, bloccata in un’atmosfera rarefatta e senza tempo.
Infine, in molti di questi ritratti si riconoscono scelte compositive e formali ispirate alla pittura rinascimentale, come la presenza di scorci paesaggistici inquadrati da finestre o balconi.
Il nudo come modello
Anche il tema del nudo, ampiamente diffuso nella pittura italiana degli anni Venti, costituisce un’occasione di studio e di confronto con i modelli degli antichi maestri. Nelle figure femminili dipinte da Casorati si legge l’eredità delle forme pure di Masaccio e Piero della Francesca; quelle di Marussig e di Celada da Virgilio discendono dalle Veneri rinascimentali di Giorgione e di Tiziano; mentre le forme opulente dei nudi di Malerba e Oppi condensano in forme sintetiche l’idea di bellezza della statuaria greca e romana.
Al passato classico si ricollega anche la dimensione del mito: il nudo immerso nel paesaggio è un richiamo a un’età dell’Eden fondata sull’accordo tra uomo e natura, un’idilliaca Arcadia che incarna un ideale di armonia. La bellezza, dunque, è intesa come un valore platonico al quale l’arte tende da sempre, in una linea di continuità che questi pittori intendono portare avanti.
Il corpo riacquista, così, centralità e evidenza plastica, tanto che Ugo Ojetti, nella sua presentazione della mostra Venti artisti italiani (1924), scrive: “Rimettere l’uomo al centro del mondo, rifare del corpo umano il metro del mondo, questo è il primo dovere dell’arte moderna”.
Le stagioni della vita
Tra i grandi temi della tradizione riscoperti dalla pittura italiana del primo Novecento vi è quello della maternità, le cui radici affondano nell’arte sacra. Nel 1916 Severini aveva scelto proprio questo tema per dipingere un ritratto della moglie con la figlioletta simile a una Madonna antica, inaugurando, così, la stagione del ritorno all’ordine. In queste sale si possono vedere due esempi del genere: il quadro di Virgilio Guidi Madre che si leva, ricco di puntuali rimandi all’arte rinascimentale, e quello di Anselmo Bucci, che mostra una madre mentre allatta teneramente il suo bambino.
Ritratti di fanciulli in posa, bimbi che giocano, gruppi di famiglia e anziani genitori: nelle tele di Cagnaccio, Campigli, Casorati, Dudreville, Ferrazzi e nelle sculture di Martini e Wildt vediamo susseguirsi le diverse età della vita. Giovinezza e vecchiaia che il dipinto di Achille Funi Una persona e due età pone a confronto, ritraendo la stessa donna sdoppiata in due realtà temporali. Una scelta originale che rivisita in chiave simbolica un precedente ritratto della madre e della sorella dell’artista.
(dai testi a parete presenti in mostra)
04/07/2017