Castello di Arco
Narra le vicende di secolari contese per il controllo del territorio e custodisce uno fra i più preziosi cicli di affreschi a tema profano dell’intero arco alpino
Il castello di Arco è un sistema di edifici e fortificazioni esteso per oltre 23.000 metri quadrati sul ripido declivio di uno scoglio roccioso che sovrasta l’abitato di Arco e, verso est, precipita con pareti a picco alte fino a 170 metri sulla piana del Sarca. Il complesso castellano si saldava un tempo al tracciato delle mura urbiche di Arco, dando luogo ad un sistema fortificato unico in Trentino per dimensioni e articolazione.
Malgrado l’antica notizia di un’origine romana del castello, registrata a cavallo fra Cinque e Seicento dallo storico arcense Ambrogio Franco, la più remota menzione documentale del Castrum Archi quale dimora dei signori del luogo risale al 1144. Nel 1196 Federico d’Arco dichiarò che il castello costituiva un bene allodiale di proprietà della comunità della pieve di Arco, libero da vincoli feudali, e si riservava unicamente il diritto di immunità e i poteri di banno sulla comunità, già appannaggi della nobile famiglia da almeno tre generazioni. I signori potevano chiamare alle armi gli arcensi soggetti a prestare servizio di difesa, godevano del potere d’imperio all’interno del castello, e dovevano inoltre garantire la sicurezza di chi vi trovava rifugio, curare il mantenimento delle fortificazioni ed esercitare la giurisdizione sul presidio.
Nel 1253 una parte del castello fu ceduta da Riprando d’Arco al vicario imperiale Ezzelino da Romano, innescando un aspro contrasto fra i diversi membri della famiglia, la Chiesa di Trento e la contea tirolese che si prolungò fino al 1276, quando il conte del Tirolo Mainardo II stipulò la pace con gli Arco, concedendo loro nuovamente castello e giurisdizione. Nel Trecento, il castello e la giurisdizione entrarono nella sfera di controllo dapprima di Mastino e Cangrande della Scala, signori di Verona, e in seguito di Gian Galeazzo Visconti, signore di Milano. Gli Arco riuscirono tuttavia a mantenere il loro potere in veste di capitani fino a quando, nel 1413, videro confermate le proprie ambizioni di signori territoriali con l’ottenimento del titolo di conti dell’Impero.
Il Quattrocento vide la fase di massimo sviluppo del castello; nel contempo i diversi rami della famiglia d’Arco iniziarono però a edificare nuove residenze nel centro della città, più comode e conformi al gusto del tempo rispetto al vetusto castello sulla rupe. Quest’ultimo, pur mantenendo il valore di centro simbolico della dinastia e continuando ad essere abitato fino al pieno Seicento, si avviò a un lento declino. Nel 1579, le ripetute faide serpeggianti all’interno della famiglia e il malgoverno del territorio, sfociato in fatti cruenti, disordini e banditismo, offrirono infine l’occasione alle autorità tirolesi per procedere all’occupazione della contea di Arco e dei castelli di famiglia.
Solo nel 1614 conti d’Arco rientrarono in possesso delle loro proprietà e del castello avito. Malgrado la graduale perdita della sua importanza militare e abitativa, allo scoppio della guerra di successione spagnola (1700-1714) il castello si presentava ancora ai francesi come una fortezza inespugnabile e fra le meglio munite d’Europa. Nel 1703 l’invasione delle truppe del generale Vendôme portò alla conquista e al bombardamento del presidio fortificato sulla rupe di Arco; ad essa seguì l’inesorabile rovina del castello, durata quasi due secoli e gradualmente arginata solo a partire dal 1876, a seguito della restituzione del castello alla comunità di Arco in qualità di bene allodiale.
Dopo le impegnative campagne di restauri attuate dalla Provincia autonoma di Trento a partire dal 1985, il castello di Arco si presenta oggi come un complesso monumentale e paesaggistico unico nel suo genere, connotato da una valenza iconica e identitaria che lo rende uno fra i più noti scenari del Trentino. L’aspetto attuale della rupe è il risultato dell’evoluzione e della stratificazione di un paesaggio storico che abbraccia un arco temporale di due millenni e si caratterizza in particolare per le ampie distese di olivi – estremo lembo settentrionale di una coltura tipica del solo bacino mediterraneo – per gli imponenti resti ruderali del complesso castellano e per la ricca vegetazione a macchia mediterranea.
La salita della rupe conduce, una volta superata la cinta muraria e le opere di difesa, al vasto spazio aperto della “lizza”, da cui prende avvio la salita verso i principali corpi di fabbrica. Nella roccia ai piedi della torre Grande è ricavata la cosiddetta “prigione del sasso”, alla fine del Quattrocento teatro della lunga reclusione del conte Galeazzo d’Arco per volontà del fratello e dei nipoti. Seguono l’edificio indicato da un inventario seicentesco come “slosseraria” (officina del fabbro) e la via selciata che sale alla torre Grande, alta 20 metri, sopravvissuta su tre lati seppure privata dei solai e completamente vuota. Attorno alla torre sono visibili i resti dei vasti corpi residenziali che un tempo la rinserravano su due lati, oggi in larga misura scomparsi, ma testimoniati nel loro aspetto dalle numerose immagini storiche del castello: una fra tutte il famoso acquerello raffigurante la rupe e il borgo di Arco, realizzato dal pittore tedesco Albrecht Dürer nel 1495 (oggi conservato presso il museo del Louvre a Parigi).
Alle spalle della torre Grande sorgono i resti di una torre più piccola, fino al 1986 ostruita da materiali di crollo; al suo interno, un locale ha fortunosamente mantenuto il pavimento in cotto originale e un vasto ciclo di affreschi di argomento profano, oggi annoverato fra le più significative testimonianze della pittura del Trecento nell’arco alpino. I dipinti, oggetto di un vivace dibattito fra gli studiosi in merito alla loro datazione e all’area culturale del loro anonimo autore, raffigurano momenti di vita cortese; particolarmente celebri sono le scene raffiguranti giochi, che rappresentano a livello europeo una fra le più rilevanti e complete testimonianze figurative sul tema. Nel complesso, il ciclo cortese testimonia in modo esemplare la sofisticata cultura abitativa e artistica dei signori di Arco, densa di rimandi ai modelli offerti dalle corti signorili di Verona e Mantova.
Accanto all’edificio con gli affreschi sorgeva un tempo la chiesa di Santa Maria Maddalena, dalla quale proviene forse un fregio in pietra con scene della Genesi, oggi conservato presso il Museo Diocesano Tridentino e databile a cavallo fra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento. Di altri fabbricati adiacenti restano solamente i settori inferiori delle murature, in cui spiccano i piedritti di un elegante portale in pietra rossa, lavorati con un motivo a dentelli.
Da qui si ascende alla cima della rupe, occupata dalla torre “Renghera”, così chiamata in quanto ospitava un tempo la campana (“renga”) con cui venivano chiamati a raccolta gli abitanti. Dalla torre è possibile godere di uno spettacolare panorama che spazia dalla Paganella al lago di Garda. Un sentiero nella boscaglia scende quindi lungo il ciglio della rupe fino alla torre di Laghel, estremo baluardo occidentale del castello, per ritornare infine all’area sotto la torre Grande.
Luca Gabrielli, Soprintendenza per i beni culturali
Il Castello è raggiungibile solo a piedi attraverso un percorso in salita di circa 15 minuti. Si consiglia un abbigliamento comodo e scarpe adatte per una passeggiata.
Note sull'accessibilità del sito
Visita per la persona con disabilità gratuita (è necessario mostrare all’ingresso una documentazione che testimonia la propria patologia, soprattutto se si tratta di una disabilità sensoriale o cognitiva).
L’ingresso per l’ACCOMPAGNATORE è gratuito solo se la sua presenza è necessaria per la persona con disabilità.
È bene avvisare in precedenza in caso di visitatori con disabilità.
Accesso al Castello in automobile solo con mezzi speciali, previo accordo con il Comune di Arco. Strada sterrata e cementata con pendenza media del 23% circa; tratto finale di 20 metri con pendenza del 31%. Accesso al parco con strada lunga 10 metri con fondo sterrato (pendenza del 18%). Il tratto d’accesso alla zona dei servizi igienici dedicati ha una pendenza del 10% circa. I servizi igienici sono automatizzati e l’apertura della porta è con pulsante alto cm 110. Punto di ristoro all’interno del parco accessibile. Accesso alla zona ticket con fondo molto sconnesso e pendenza del 18%. Il Castello al suo interno non é visitabile per la presenza di scale, dislivelli e roccia.
Rilevazioni eseguite dal personale della Cooperativa HandiCREA